In questa tavola cercheremo di
spiegare cosa si intenda per perfezione e quale sia il suo rapporto con la
manifestazione e con l’Assoluto.
Il termine “perfetto”, derivato dal participio passato
del verbo latino perficere, secondo
il dizionario Treccani significa “condotto a termine, portato a compimento,
concluso”; relazione analoga, ossia fra ciò che è perfetto e ciò che è finito,
si ritrova anche nel greco antico. In quanto aggettivo, perfetto significa “compiuto
in tutte le sue parti, completo di tutti gli elementi caratteristici e
necessari, giunto al punto estremo del suo sviluppo”. Un passo di Guénon può
aiutarci a fare alcune riflessioni utili ai nostri fini: “l'opera la quale, coscientemente o incoscientemente, deriva chiaramente
dalla natura di colui che la eseguisce, non darà mai l'impressione di uno
sforzo più o meno penoso, comportante sempre qualche imperfezione perché
anormale; al contrario, essa trarrà la sua stessa perfezione dalla propria
conformità con la natura, ciò che implica il suo esatto adattamento al fine cui
è destinata[1]”.
Per Guénon, dunque, perfetto è
“ciò che realizza in tutto la sua vera natura”. Vale la pena notare inoltre
come l’adattamento (esteriore) al fine cui si è destinati sia fase preliminare
e indispensabile del lavoro iniz\.